La ricerca su come ricaricare le cellule per contrastare l’invecchiamento

Franco Fogli

Dicembre 8, 2025

Un team di scienziati della Texas A&M University, negli Stati Uniti, ha fatto progressi significativi nel campo della biomedicina, sviluppando una metodologia innovativa per ricaricare le cellule e contrastare i segni dell’invecchiamento. Questa scoperta, che sarà testata nei prossimi mesi, potrebbe avere un impatto notevole nello sviluppo di terapie per diverse malattie, come il morbo di Alzheimer e la distrofia muscolare, come riportato dal Washington Post.

L’invecchiamento si manifesta attraverso vari sintomi, da quelli visibili come le rughe e il diradamento dei capelli, fino a cambiamenti più sottili che riguardano il funzionamento cerebrale. Questi segni sono il risultato di un deterioramento profondo all’interno dell’organismo, in particolare della diminuzione dell’efficienza dei mitocondri, le strutture cellulari responsabili della produzione di energia.

Il ruolo dei mitocondri nella salute cellulare

La ricerca condotta dagli scienziati della Texas A&M ha portato alla luce un metodo per ricaricare le cellule danneggiate e invecchiate, con potenziali applicazioni in vari campi della medicina. I mitocondri, che si trovano nel citoplasma delle cellule, sono essenziali non solo per la produzione di energia, ma anche per la risposta immunitaria e la sintesi di sostanze vitali come ormoni e amminoacidi.

Con l’avanzare dell’età, i mitocondri tendono a ridursi, contribuendo a diverse patologie legate all’invecchiamento, come malattie neurodegenerative e disordini metabolici. Akhilesh K. Gaharwar, professore di ingegneria biomedica presso la Texas A&M e coautore di uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, ha sottolineato come la diminuzione dei mitocondri possa essere un fattore cruciale in queste condizioni.

La metodologia innovativa degli scienziati

Per affrontare questo problema, gli scienziati hanno creato delle mini fabbriche di mitocondri, aggiungendo delle particelle microscopiche, denominate nanofiori, a capsule contenenti cellule staminali. Questi nanofiori, che misurano tra 600 e 1.000 volte meno dello spessore di un capello umano, vengono assorbiti dalle cellule staminali in modo naturale.

Realizzati a partire da disolfuro di molibdeno, i nanofiori attivano un processo che stimola la produzione di mitocondri. Grazie a questa tecnica, le cellule staminali possono generare il doppio dei mitocondri normalmente prodotti, che vengono poi trasferiti alle cellule danneggiate. Gaharwar ha spiegato che potenziando le cellule staminali, queste possono donare “batterie” alle cellule invecchiate, accelerando il processo di rigenerazione.

Prossimi passi e test futuri

I ricercatori della Texas A&M sono pronti a testare questa innovativa metodologia su ratti a partire da gennaio o febbraio 2025. I risultati di questi esperimenti sono attesi con interesse, poiché dovranno dimostrare la sicurezza e l’efficacia del trattamento prima di essere applicati sugli esseri umani.

Attualmente, esistono farmaci che possono aumentare il numero di mitocondri nel paziente, ma pochi modificano il modo in cui le cellule li producono. Di conseguenza, i trattamenti devono essere ripetuti frequentemente per ottenere risultati. Se questa nuova strategia ottiene l’approvazione clinica, i medici potrebbero utilizzarla per migliorare la salute cellulare dei pazienti, come ha evidenziato Gaharwar.

Applicazioni cliniche e benefici per i pazienti

Le cellule staminali potrebbero essere arricchite con nanofiori in laboratorio e poi reinserite nel paziente, fornendo mitocondri alle cellule danneggiate. Questo approccio potrebbe migliorare la comunicazione tra le cellule nervose invecchiate, influenzando positivamente l’attività cerebrale. Inoltre, nei pazienti diabetici, l’aggiunta di mitocondri freschi potrebbe accelerare l’elaborazione del glucosio.

Il laboratorio della Texas A&M sta collaborando con altri centri di ricerca specializzati in distrofia muscolare, steatosi epatica e disfunzioni del sistema nervoso, ampliando così le potenzialità di questa scoperta nel trattamento di diverse patologie.

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