Il recente rapporto del gruppo di ricerca Innovazione e ecosistemi per le economie circolari dell’Università di Torino, intitolato “Crescita circolare: l’innovazione come motore del cambiamento”, rivela dati significativi sull’adozione di pratiche circolari nel contesto imprenditoriale italiano. Questo studio, coordinato dal professor Francesco Quatraro, ha messo in luce che il 75% delle aziende italiane ha già avviato almeno un’iniziativa legata all’economia circolare, ma la maggior parte di queste si limita a interventi di tipo ‘leggero’, come l’efficienza energetica e idrica.
Le sfide per le imprese italiane
Le aziende italiane si trovano ad affrontare diversi ostacoli quando si tratta di implementare pratiche circolari più avanzate. Tra i principali fattori limitanti si segnalano i costi elevati, la complessità della normativa vigente, la mancanza di competenze specifiche e una scarsa integrazione lungo la filiera produttiva. Questi elementi rappresentano barriere significative per le imprese che desiderano investire in innovazione e sostenibilità. Il rapporto evidenzia che, nonostante l’adozione di pratiche circolari, la vera transizione richiede un cambiamento radicale nei processi aziendali e nelle competenze.
In particolare, le aziende che hanno registrato brevetti legati all’economia circolare mostrano una produttività superiore, una maggiore capacità di internazionalizzazione e un numero più elevato di certificazioni ambientali. Queste aziende generano un fatturato complessivo di circa 160 miliardi di euro. Il report ha anche messo in evidenza la crescita delle start-up nel settore, che attualmente ammontano a circa 3.000, concentrate principalmente in Lombardia e in altri poli urbani innovativi. La leadership femminile emerge nel Centro-Sud, mentre quella giovanile è più presente nel Nord.
Territori e bioeconomia
Alcuni territori italiani, come Trento, Basilicata, Rimini e Modena, si distinguono per il loro impatto economico che supera le aspettative rispetto alle loro dimensioni. Un altro aspetto cruciale trattato nel rapporto riguarda la bioeconomia, dove i principali ostacoli identificati includono i prezzi, la regolamentazione e la qualità delle materie prime. Le imprese del settore chiedono misure di incentivazione per la riconversione, una maggiore uniformità normativa, infrastrutture adeguate per l’approvvigionamento e formazione per sensibilizzare i consumatori.
La transizione verso un modello di economia circolare non è solo una questione di sostenibilità, ma implica un ripensamento profondo delle pratiche aziendali, delle competenze richieste e delle tecnologie da adottare lungo l’intera catena del valore. Per affrontare questa sfida, è fondamentale disporre di dati solidi e indicatori affidabili che possano supportare le decisioni strategiche.
Il contributo della ricerca e delle istituzioni
Il professor Quatraro ha sottolineato l’importanza del rapporto, che è stato sviluppato nell’ambito del progetto GRINS – Growing Resilient, Inclusive and Sustainable, finanziato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Questo progetto ha permesso la creazione di un set integrato di informazioni che combina dati su imprese, competenze, brevetti, marchi, start-up, produzione scientifica e sostenibilità. Tali informazioni rappresentano una risorsa fondamentale per orientare le politiche industriali e le strategie territoriali.
A livello internazionale, il rapporto evidenzia che Francia, Olanda, Belgio e Polonia hanno istituzioni di ricerca particolarmente attive nel settore. L’Italia, pur essendo a pari merito con il Portogallo, ha fatto significativi progressi negli ultimi dieci anni, posizionandosi al terzo posto nel numero di pubblicazioni scientifiche, superando paesi come Francia e Spagna.
Il ruolo delle tecnologie e delle competenze
Il settore dell’automotive e il relativo indotto sono tra i principali ambiti in cui l’Italia sta sviluppando tecnologie per la transizione circolare. Questa evoluzione rappresenta un’opportunità per affrontare le sfide competitive legate al cambiamento climatico e alla regolamentazione. È cruciale preservare e valorizzare il capitale umano, composto da ricercatori, ingegneri e tecnici, che ha contribuito all’innovazione nel settore manifatturiero.
L’economia circolare può diventare una leva fondamentale per la politica industriale italiana, ma è necessario passare da un approccio basato su buone pratiche a una strategia nazionale di sviluppo. Questo richiede una governance integrata che coinvolga ministeri, regioni, enti locali e imprese. Le aziende più innovative dimostrano che la circolarità può migliorare la produttività e la competitività internazionale.
La domanda come motore di cambiamento
Infine, il rapporto sottolinea l’importanza della domanda da parte di consumatori, pubblica amministrazione e grandi aziende come fattore chiave per il successo della transizione circolare. Matteo Cervellati, presidente della Fondazione Grins, ha affermato che il lavoro del gruppo di ricerca evidenzia come la circolarità rappresenti una leva strategica per l’industria. L’integrazione di dati e competenze è essenziale per sostenere le imprese e i territori in questa trasformazione, richiedendo politiche stabili e una governance efficace per accelerare una crescita realmente circolare.
