Buon compleanno a Woody Allen: il celebre regista newyorkese festeggia 90 anni

Marianna Ritini

Novembre 30, 2025

C’è un artista che ha saputo trasformare la propria vulnerabilità in un’opera d’arte e le sue nevrosi in un linguaggio universale. Woody Allen, il regista newyorchese, ha reso la timidezza dello shlemiel ebreo – una figura maldestra e sfortunata, ma al contempo tenera e ironica – una filosofia di vita. Da oltre sei decenni, Allen racconta con sagacia e malinconia le miserie e i paradossi dell’esistenza umana, alternando risate a momenti di sconforto, jazz a riflessioni filosofiche, amori impossibili e sensi di colpa. Nel 2025, mentre festeggia i suoi 90 anni (nato il 30 novembre 1935 e registrato il giorno successivo, 1 dicembre, spiegando così la discrepanza nelle biografie), rimane uno degli ultimi veri autori del cinema contemporaneo, capace di unire le influenze di Ingmar Bergman e Groucho Marx, Fedor Dostoevskij, Sigmund Freud e George Gershwin, con una leggerezza unica.

Woody Allen, il cui vero nome è Allen Stewart Konigsberg, ha visto la luce a Brooklyn, nel cuore di una New York che ha sempre amato e immortalato nelle sue opere. Questa metropoli è diventata la sua musa, la sua ossessione e il suo palcoscenico eterno. “Manhattan” (1979) si erge non solo come un film, ma come una vera e propria dichiarazione d’amore in bianco e nero, un’ode a una città che pulsa di malinconia e speranza, di jazz e luci al neon. La pellicola rappresenta un microcosmo umano composto da scrittori insicuri, donne enigmatiche e relazioni sentimentali complesse, rispecchiando la vita di chi si interroga costantemente su di essa.

Prima di arrivare a “Io e Annie”, il film del 1978 che gli valse quattro Oscar, tra cui miglior regia e miglior sceneggiatura, Woody Allen ha intrapreso un lungo percorso come comico di cabaret e scrittore di battute per la televisione. Ha iniziato come ghost writer dell’umorismo, fino a trovare la sua voce in una serie di opere che mescolano satira e assurdo. Dalla satira più vivace alla riflessione sull’amore e sull’assurdità della vita, la carriera di Allen è stata sin dall’inizio un viaggio affascinante nel mondo del cinema e della comicità. Si passa da “Prendi i soldi e scappa” (1969), il suo esordio che già mostra la sua ironia affilata, a “Il dittatore dello stato libero di Bananas” (1971), fino ai colpi di genio di “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere” (1972) e “Il dormiglione” (1973). Le sue commedie romantiche e satiriche, come “Amore e guerra” (1975), costituiscono un mosaico unico, dove malinconia e risate si intrecciano in un’analisi acuta e indelebile dell’umanità.

La svolta con ‘Io e Annie’

Con “Io e Annie”, tutto cambiò. Questa commedia sentimentale, che esplora il fallimento di un amore e l’impossibilità di smettere di analizzarlo, rappresentò la forma definitiva per Allen. Al centro della narrazione c’era Diane Keaton, musa e compagna di vita, e un uomo che parla incessantemente, ama intensamente e riflette senza sosta. Da quel momento, il comico si trasformò in autore, e il regista nevrotico di New York divenne la voce di un’intera generazione di spettatori.

Negli anni successivi, Allen approfondì i propri fantasmi: con “Interiors” (1978) e “Settembre” (1987) si ispirò a Bergman e Anton Čechov, mentre in “Stardust Memories” (1980) e “Zelig” (1983) rifletté sul mestiere dell’artista e sull’identità. Con “La rosa purpurea del Cairo” (1985), mise in scena la sua devozione per il cinema, raccontando di una spettatrice che fugge dalla realtà entrando nel film. Ogni opera sembrava una variazione sul tema della solitudine, del desiderio, del rimpianto e della fuga. Nonostante il suo pessimismo, Allen rimase un ottimista morale, affermando che “bisogna credere in qualcosa. Io credo che tutto ciò che serve sia un buon pasto”.

Con “Hannah e le sue sorelle” (1986), raggiunse uno dei vertici della sua carriera: un affresco corale di passioni e malinconie familiari, dove la fragilità si trasforma in compassione e la paura della morte si attenua grazie alla musica di Louis Armstrong e alla comicità dei fratelli Marx. Il suo alter ego afferma: “Mi sono salvato guardando una loro scena”, evidenziando la sua fede più profonda: la risata come forma di redenzione.

Autore e maschera tra arte e privato

Il genio di Allen ha risieduto anche nella sua capacità di trasformarsi in un personaggio. La sua figura, esile e nervosa, è diventata un archetipo, una maschera riconoscibile quanto quella di Charlie Chaplin. In scena e fuori, Woody è sempre Woody: un uomo che parla di psicanalisi come altri discutono del meteo, interrogandosi su Dio e sull’amore con la stessa ironia con cui si lamenta del traffico o del mal di schiena.

Negli ultimi anni, la sua vita è stata segnata da controversie e accuse che hanno diviso pubblico e critica. Il lungo conflitto con Mia Farrow e le accuse di molestie da parte della figlia Dylan, sempre negate da Allen e mai provate in sede giudiziaria, hanno oscurato la sua figura, in un’epoca sensibile come quella del movimento #MeToo. Allen ha difeso la propria posizione, affermando di essere stato vittima di una campagna mediatica, sostenendo che le indagini lo avevano scagionato. La verità, come spesso accade nei suoi film, resta un territorio ambiguo, dove colpa e innocenza coesistono.

Al di là delle ombre, la sua filmografia, composta da oltre cinquanta titoli in quasi sessant’anni, rappresenta un monumento alla libertà creativa. Un corpus che attraversa generi e epoche, sempre fedele a un’unica ossessione: raccontare la fragilità dell’uomo moderno. Anche nei film più recenti, come “Café Society”, “Un giorno di pioggia a New York”, “Rifkin’s Festival” e “Coup de chance”, girato in francese, Allen continua a interrogarsi su destino e amore, casualità e morale. Ogni pellicola appare come un nuovo tentativo di dare un senso al caos, un esperimento morale mascherato da commedia.

Nel 2020, ha pubblicato la sua autobiografia, “A proposito di niente” (La nave di Teseo), un titolo che riassume perfettamente la sua filosofia esistenziale: ironica, disincantata, ma piena d’amore per la vita. Anche se ripete di non credere nell’aldilà, affermando che porterà con sé un cambio di biancheria “non si sa mai”, la sua opera ha già conquistato un posto nell’eternità del cinema. A novant’anni, Woody Allen continua a essere un paradosso vivente: un pessimista che fa ridere, un intellettuale che crede nel potere della risata, un artigiano del cinema che rifiuta i grandi apparati industriali, un uomo che filma ancora con la convinzione che la vita, con tutte le sue nevrosi, ingiustizie e amori complicati, meriti di essere vissuta.

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