La questione dell’uso degli psicofarmaci tra i minori in Italia sta suscitando un acceso dibattito, soprattutto in seguito alla pubblicazione del Rapporto Osmed 2024. Secondo i dati, la prevalenza di utilizzo di questi farmaci tra i ragazzi sotto i 17 anni è aumentata quasi tre volte rispetto al 2020, passando dallo 0,26% allo 0,57%. Tuttavia, esperti del settore avvertono che non si deve cadere nell’allarmismo, ma piuttosto riflettere sulla situazione attuale e sulla necessità di una maggiore responsabilità collettiva.
Cosa emerge dal rapporto osmed
Il dottor Stefano Vicari, direttore della Neuropsichiatria infantile dell’ospedale Bambino Gesù di Roma, e Gabriele Masi, referente del Coordinamento primari emergenze psichiatriche in età evolutiva, sottolineano che l’aumento dell’uso di psicofarmaci deve essere analizzato con attenzione. “È fondamentale che ogni prescrizione sia il risultato di una valutazione accurata e di un monitoraggio costante”, affermano. Nonostante l’incremento, esiste una preoccupante carenza di accesso ai trattamenti per molti bambini e adolescenti con disturbi psichici. In Italia, solo 1 ragazzo su 15-20 che potrebbe beneficiare di una terapia farmacologica riceve effettivamente il trattamento necessario, una percentuale tra le più basse in Europa.
Vicari e Masi evidenziano che la vera questione non è solo l’aumento numerico, ma se questo riflette i reali bisogni clinici dei minori. La loro analisi suggerisce che l’uso di psicofarmaci deve sempre essere accompagnato da una valutazione globale e da un approccio multidisciplinare, considerando non solo gli aspetti medici, ma anche quelli psicologici, familiari e sociali.
I principi fondamentali da seguire
Gli esperti delineano quattro principi chiave che devono guidare la prescrizione di psicofarmaci in età evolutiva. Primo, è necessaria una valutazione globale della situazione del minore, che tenga conto di vari fattori. Secondo, gli obiettivi devono essere chiari e monitorabili, affinché si possa valutare l’efficacia del trattamento. Terzo, è essenziale un monitoraggio costante dopo l’inizio della terapia, per adattare il trattamento alle esigenze del paziente. Infine, è importante prevedere una revisione periodica del trattamento, considerando che i disturbi possono evolvere nel tempo.
Vicari e Masi avvertono che parlare genericamente di psicofarmaci può risultare fuorviante, poiché esistono diverse categorie di farmaci, ognuna con specifiche indicazioni e potenziali effetti collaterali. Sottolineano che i farmaci utilizzati per l’ADHD, la depressione o i disturbi bipolari hanno profili d’uso differenti e richiedono controlli regolari, soprattutto se assunti a lungo termine.
Il contesto dell’uso degli psicofarmaci in italia
L’analisi dei dati sull’uso degli psicofarmaci in Italia deve essere contestualizzata. Sebbene l’aumento dall’0,26% allo 0,57% possa sembrare significativo, i livelli di utilizzo rimangono inferiori rispetto a molti altri Paesi europei. In Francia, ad esempio, le percentuali sono circa tre volte superiori. Questo porta a riflessioni più ampie sulla gestione della salute mentale tra i giovani in Italia.
Inoltre, è importante notare che l’aumento dell’uso di psicofarmaci riguarda in gran parte gli adolescenti, in particolare quelli tra i 12 e i 17 anni, fascia in cui si manifestano forme più complesse di disagio psichico. È in questo periodo che si rende spesso necessaria una combinazione di psicoterapia e trattamento farmacologico.
Infine, Vicari e Masi concludono che la vera sfida non è limitare l’uso di psicofarmaci, ma garantire che i minori che ne hanno realmente bisogno possano accedere a cure adeguate e tempestive. La salute mentale dei giovani deve diventare una priorità condivisa, promuovendo una cultura dell’ascolto e della competenza, affinché il benessere psicologico dei ragazzi possa essere una responsabilità collettiva.
