Il processo d’appello che coinvolge Alessia Pifferi, condannata in primo grado all’ergastolo per l’omicidio della figlia Diana, si svolge presso la Corte d’Appello di Milano. La donna è accusata di aver abbandonato la propria figlia, di soli 18 mesi, nel suo appartamento, dove la piccola è morta di stenti nell’estate del 2022. Durante l’udienza del 5 novembre 2025, la sostituta procuratrice generale di Milano, Lucilla Tontodonati, ha presentato una requisitoria incisiva, sottolineando la responsabilità di Pifferi nel non garantire le necessità primarie della figlia.
Il quadro accusatorio
Durante l’udienza, Tontodonati ha descritto Alessia Pifferi come una persona “egocentrica”, focalizzata sulle proprie esigenze e incapace di prendersi cura della figlia. La procuratrice ha evidenziato che la donna possiede “piena, totale, capacità di intendere e di volere”, un punto cruciale che, secondo l’accusa, deve risolvere molte delle controversie emerse nel corso del processo. La Pifferi, secondo l’accusa, ha deliberatamente trascurato le necessità fondamentali di Diana, contribuendo così alla sua morte.
Tontodonati ha anche messo in evidenza le “tendenze alle bugie e alle menzogne” di Pifferi, suggerendo che la sua condotta non possa essere giustificata da eventuali problemi mentali. “Nessuna patologia al mondo può far ritenere che la mente si disconnetta a tratti”, ha affermato, mentre cercava di dimostrare la colpevolezza della donna. La rappresentante dell’accusa ha sottolineato come, nonostante le difficoltà psicologiche, le perizie d’ufficio abbiano confermato la capacità di intendere e di volere di Alessia Pifferi.
La natura del crimine
La requisitoria ha toccato un punto sensibile, analizzando la natura del crimine stesso. Tontodonati ha affermato che è difficile accettare l’idea che una madre possa abbandonare la propria figlia, ma ha evidenziato che tale comportamento è purtroppo parte della complessità della natura umana. “E’ un nostro retaggio culturale pensare che una madre non possa sopprimere la sua bambina, ma accade”, ha dichiarato.
La procuratrice ha descritto la condotta di Pifferi come “particolarmente raccapricciante”, poiché non si tratta di un gesto impulsivo, ma di un abbandono prolungato. “Non è una madre che butta la figlia dalla finestra, ma la lascia per cinque giorni a soffrire”, ha spiegato, evidenziando la gravità della situazione. La Pifferi ha lasciato la figlia in un lettino da campeggio con un biberon di latte e una bottiglietta d’acqua, un quadro straziante che ha suscitato l’indignazione dell’opinione pubblica.
Le perizie e il contesto legale
Il processo d’appello è caratterizzato da un’analisi approfondita delle perizie psicologiche presentate. La sostituta procuratrice ha richiamato l’attenzione su due perizie d’ufficio e le consulenze di parte, tutte concordi nel concludere che Alessia Pifferi fosse capace di intendere e di volere. Questo aspetto gioca un ruolo fondamentale nel determinare la responsabilità legale della donna.
La questione dell’imputabilità è centrale in questo caso, poiché l’accusa cerca di dimostrare che la condotta di Pifferi non può essere giustificata da eventuali problemi psicologici. “Non dobbiamo dimenticare che abbiamo ben due perizie d’ufficio che concludono per la piena e totale capacità di intendere e di volere di Alessia Pifferi“, ha ribadito Tontodonati, cercando di stabilire chiaramente la colpevolezza dell’imputata.
Il processo continua a suscitare un grande interesse mediatico e sociale, con l’opinione pubblica che segue con attenzione gli sviluppi di un caso che ha scosso profondamente la società italiana.
