Consulenti del lavoro: un settore in crescita con volumi d’affari in aumento

Franco Fogli

Ottobre 24, 2025

L’indagine condotta dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, presentata oggi a Napoli durante la Convention Nazionale per celebrare il 60° anniversario della categoria, rivela un panorama in crescita per la professione del consulente del lavoro. L’analisi mette in evidenza l’espansione della categoria, alimentata dalla diversificazione dei servizi e dall’innovazione tecnologica.

Dettagli dell’indagine

L’indagine, realizzata a settembre 2025 su un campione di 5.363 consulenti del lavoro, ha esaminato vari aspetti come l’organizzazione degli studi, l’offerta di servizi e le interazioni con altri professionisti, ponendo particolare attenzione ai processi di innovazione. I risultati evidenziano come la trasformazione degli studi, accelerata dalla pandemia di Covid-19, si sia riflessa in un andamento economico positivo. I dati forniti dall’Enpacl mostrano che i volumi d’affari medi dei consulenti del lavoro sono aumentati da 87.332 euro nel 2019 a 111.711 euro nel 2024, registrando una crescita del 27,9%. Solo nell’ultimo anno, l’incremento è stato del 7,8%. Analizzando i singoli studi, il 40,1% ha riportato un aumento del fatturato tra il 2023 e il 2025, mentre il 46,7% ha mantenuto gli stessi livelli e il 13,2% ha subito una diminuzione.

Previsioni e tendenze per il futuro

Le prospettive per il 2025 indicano una stabilità per il 59,2% degli intervistati; il 21,3% prevede un aumento, mentre il 14% si aspetta una diminuzione. Nel Nord Est, quasi la metà degli studi ha registrato un incremento negli ultimi tre anni (48,3%), e nel complesso del Nord, la percentuale di studi che prevede una crescita di fatturato nel 2025 è circa del 25%. L’indagine sottolinea anche l’importanza della dimensione organizzativa nel determinare le performance economiche. Tra gli studi associati e le società tra professionisti, la maggioranza ha visto un aumento del fatturato, con il 51,4% degli studi in cui tutti gli associati sono consulenti del lavoro che hanno registrato un incremento, rispetto al 45,8% delle strutture interprofessionali.

Fattori di crescita e cambiamenti strutturali

Un miglioramento nell’efficienza organizzativa e la diversificazione dei servizi sono stati identificati come fattori chiave per l’aumento del giro d’affari. Il 54,6% dei consulenti ha segnalato una maggiore domanda di servizi professionali, mentre il 23,3% ha attribuito la crescita a una migliore efficienza organizzativa rispetto al passato. A ciò si aggiunge il 20% che ha introdotto nuovi servizi per le imprese, e le opportunità derivanti da cambiamenti normativi e collaborazioni con altri studi professionali hanno avuto un impatto significativo sul volume d’affari.

Cambiamenti nella struttura degli studi professionali

L’evoluzione della modalità di esercizio degli studi professionali ha portato a un aumento delle dimensioni degli stessi. Rispetto al 2021, la percentuale di professionisti individuali è scesa dal 36% al 30,8%, mentre gli studi con più di tre persone (tra professionisti, collaboratori e personale di segreteria) sono aumentati dal 35,4% al 42,5%. Nel 2025, il 30,8% degli studi è composto esclusivamente dal titolare, mentre la maggior parte degli studi individuali ha almeno un collaboratore. In totale, il 26,7% degli studi è formato da 2 o 3 persone, il 28,3% da 4 a 9 persone, e il 14,2% da più di 9 figure. La dimensione degli studi varia notevolmente in base alla loro organizzazione, con il 40% dei titolari di studi associati che ha più di 9 addetti.

La nuova generazione di consulenti del lavoro

Attualmente, il 87,5% dei consulenti esercita la libera professione, mentre il 12,5% lavora come dipendente o collaboratore. Tra i giovani sotto i 40 anni, la percentuale di dipendenti e collaboratori raggiunge il 44%. Molti di questi collaboratori vedono la loro posizione come temporanea, con il 25,7% degli intervistati che sta accumulando esperienza per avviare un’attività autonoma in futuro. Tuttavia, il 17,3% non ha risorse economiche sufficienti per intraprendere un’attività in proprio e un altro 17,7% cita motivi personali che ostacolano questa possibilità. Solo l’8,3% preferisce il lavoro dipendente, mentre il 21,3% ritiene il mercato troppo complesso e l’attività autonoma eccessivamente rischiosa.

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