Fine vita: l’appello di Ada alla politica sul dolore delle attese prolungate

Marianna Ritini

Ottobre 4, 2025

Ada, una donna di 44 anni originaria della Campania, ha scelto di rivelare la propria identità dopo aver utilizzato il nome ‘Coletta’ per raccontare la sua difficile storia. Nel 2025, ha deciso di condividere la sua esperienza attraverso un video, in cui esprime la sua lotta contro la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), una malattia che le è stata diagnosticata nel 2024 e che le ha progressivamente tolto la capacità di parlare.

Ada e la sua lotta

A leggere le sue parole è stata la sorella Celeste, poiché Ada non riesce più a comunicare verbalmente. Nel video, Ada racconta: “In meno di otto mesi la malattia mi ha consumata. Con una violenza fulminea mi ha tolto le mani, le gambe, la parola. La vita è una cosa meravigliosa finché la si può vivere e io l’ho fatto. Ho vissuto con ardore gioie e dolori, e ho sempre combattuto per quello in cui credo, come la libertà di scelta. Mi sono rivolta alla mia Asl, coinvolgendo anche il tribunale, chiedendo ora quella libertà per me stessa: poter scegliere una vita dignitosa e una morte serena, vicino alla mia famiglia, nel mio Paese, quando la mia condizione diventerà definitivamente insopportabile. E ho intenzione di combattere per questo diritto finché ne avrò le forze. Ma quanto è crudele dover sprecare le ultime forze per una guerra?”.

Il percorso legale di Ada

Dopo aver ricevuto un diniego al suicidio assistito dalla propria azienda sanitaria, Ada ha dovuto intraprendere un percorso legale. Supportata dall’avvocata Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, ha presentato un ricorso d’urgenza al tribunale di Napoli. Questo passaggio è stato necessario a causa dell’opposizione al diniego, dato che l’azienda sanitaria non aveva dato seguito alle sue richieste. Durante l’udienza, è stata concordata una nuova valutazione delle condizioni di Ada, che attualmente è in attesa degli esiti delle visite effettuate.

Il diniego e i requisiti

Il diniego iniziale si basava sull’assenza di tre dei quattro requisiti stabiliti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, nota come “Cappato-Antoniani”, per accedere alla morte volontaria assistita in Italia. L’unico requisito riconosciuto dall’azienda sanitaria era la patologia irreversibile di cui soffre Ada. Secondo l’azienda, mancavano la volontà di procedere con la morte volontaria assistita, la dipendenza da trattamento di sostegno vitale e la presenza di sofferenze ritenute intollerabili dalla paziente.

Commento dell’avvocata

Filomena Gallo ha commentato la situazione di Ada, affermando che “sta affrontando una prova straordinariamente difficile”. Ha sottolineato come la legge e la Corte costituzionale tutelino il diritto all’autodeterminazione dei cittadini, anche nelle scelte riguardanti la vita e la morte. Gallo ha ribadito che è responsabilità delle istituzioni e delle autorità sanitarie garantire che questo diritto venga rispettato senza indugi. “Siamo in attesa della relazione e del parere dell’azienda sanitaria, affinché Ada possa decidere della propria vita nel pieno rispetto della sua volontà, senza ulteriori ritardi burocratici”, ha aggiunto.

Situazione attuale in Italia

Attualmente, in Italia, sono 16 le persone che hanno ricevuto il via libera per accedere al suicidio assistito. Di queste, 11 hanno effettivamente proceduto, con sette di esse supportate dal team legale dell’Associazione Luca Coscioni. Le restanti cinque hanno scelto di non procedere o non hanno potuto farlo. In assenza di una legge nazionale che regoli l’aiuto alla morte volontaria, l’accesso al suicidio assistito in Italia è normato dalla sentenza numero 242 del 2019 della Corte costituzionale, che ha legalizzato questa pratica solo a precise condizioni di salute.

Requisiti per l’aiuto alla morte volontaria

La Corte ha stabilito che una persona malata che desidera accedere all’aiuto alla morte volontaria deve possedere determinati requisiti: deve essere capace di autodeterminarsi, essere affetta da una patologia irreversibile, tale patologia deve causare sofferenze fisiche o psicologiche che la persona considera intollerabili e deve essere dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Questi requisiti devono essere verificati dal Servizio Sanitario Nazionale, seguendo le modalità previste dalla legge sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT). L’azienda sanitaria deve anche garantire che le modalità di esecuzione siano tali da evitare abusi nei confronti di persone vulnerabili e da garantire la dignità del paziente.

Ampliamento del concetto di trattamento di sostegno vitale

Recentemente, la Corte costituzionale ha ampliato il concetto di trattamento di sostegno vitale, includendo tutte le procedure normalmente eseguite da familiari o caregivers. Ha anche stabilito che il requisito del “trattamento di sostegno vitale” può essere considerato soddisfatto anche se non è attualmente in esecuzione, qualora la persona malata lo rifiuti legittimamente.

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