Al Congresso Nazionale della Sinut, tenutosi a Bologna nei giorni scorsi, è stata presentata una ricerca innovativa che coinvolge un campione di 100 pazienti affetti da steatosi epatica non alcolica, comunemente conosciuta come fegato grasso. Questa condizione, caratterizzata dall’accumulo di trigliceridi nelle cellule epatiche, colpisce circa un adulto su quattro in Italia, ed è spesso associata a obesità , resistenza all’insulina e dislipidemia. Lo studio ha messo in evidenza l’efficacia di un integratore alimentare chiamato Gdue, contenente due varietà di alghe marine brune, Ascophyllum nodosum e Fucus vesiculosus, oltre al cromo picolinato.
Dettagli della ricerca
Il progetto di ricerca, condotto dalla Clinica Gastroenterologica dell’Università di Genova sotto la direzione del professor Edoardo Giannini, ha utilizzato un approccio randomizzato e in doppio cieco. I 100 pazienti, tutti affetti da sindrome metabolica e con obesità centrale, sono stati divisi in due gruppi: uno ha ricevuto l’integratore, mentre l’altro ha assunto un placebo. Entrambi i gruppi hanno seguito una dieta caloricamente controllata e bilanciata.
I parametri lipidici e metabolici sono stati monitorati all’inizio dello studio e dopo sei mesi. Inoltre, sono stati misurati la circonferenza vita, il peso e la composizione corporea. La salute epatica è stata valutata tramite la tecnica ecografica Fibroscan Cap, che ha permesso di ottenere dati significativi sulla condizione del fegato.
Risultati significativi
I risultati ottenuti hanno mostrato una riduzione del peso in eccesso per tutti i partecipanti, grazie anche alla dieta ipocalorica ispirata al modello mediterraneo. Tuttavia, il gruppo che ha assunto Gdue ha registrato una diminuzione statisticamente significativa dell’indice di massa corporea sia a tre che a sei mesi. La riduzione media del peso per questo gruppo è stata del 4,7%, suggerendo che l’integratore rappresenta una valida opzione terapeutica per il trattamento del fegato grasso.
In aggiunta, l’analisi finale ha rivelato un incremento significativo della perdita di massa grassa e un aumento del colesterolo “buono” HDL nel gruppo trattato, un risultato sorprendente che non era atteso. Questi dati suggeriscono che Gdue potrebbe avere potenziali applicazioni anche nella prevenzione del rischio cardiovascolare.
Implicazioni cliniche
La dottoressa Livia Pisciotta, professore associato di Scienze dietetiche applicate all’Università di Genova e coordinatrice dello studio, ha sottolineato come attualmente esistano pochi farmaci approvati per la gestione della steatosi epatica. Questa malattia, se trascurata, può evolvere in condizioni più gravi come cirrosi epatica o epatocarcinoma e colpisce frequentemente persone di età avanzata con patologie croniche. La prevalenza della steatosi tra i diabetici è più che doppia rispetto alla popolazione generale.
Il Gdue potrebbe quindi rappresentare un’importante proposta terapeutica, in particolare nelle fasi iniziali della malattia. La dottoressa Pisciotta ha evidenziato che l’integratore ha dimostrato di ridurre i picchi di glicemia postprandiale in soggetti con pre-diabete e diabete, oltre a ridurre il grasso epatico in studi condotti su animali. Tuttavia, è fondamentale che l’uso di Gdue sia accompagnato da uno stile di vita sano, che comprenda una dieta equilibrata e attività fisica regolare.
In sintesi, mentre la nutraceutica si sta affermando come un valido supporto nella gestione di diverse patologie metaboliche, è essenziale che i pazienti siano seguiti da professionisti della salute e che vengano utilizzati solo prodotti con evidenza scientifica di efficacia.