Il dibattito condotto da Giorgio Rutelli, andato in onda il 18 agosto 2025, ha messo in luce le sfide e le opportunità legate alla sicurezza in un contesto sempre più complesso. Durante il secondo episodio di “State sicuri. Dentro la sicurezza che cambia”, si è discusso di come le scelte di difesa, la continuità operativa delle infrastrutture e il ruolo del settore privato si intreccino in un panorama di sicurezza multidimensionale.
Il contesto della sicurezza in Europa
Stefania Craxi, presidente della Commissione Esteri e Difesa del Senato, ha aperto il confronto sottolineando l’importanza della cooperazione internazionale. Secondo Craxi, è evidente che “nessun paese può difendersi da solo”. L’Italia, quindi, si inserisce all’interno dell’alleanza atlantica, contribuendo attivamente alla “road map della Nato 2030”, con particolare attenzione al Mediterraneo e all’Africa. La presidente ha anche evidenziato l’impegno del governo italiano nell’aumentare la spesa per la difesa, fissando l’obiettivo del 5% entro il 2035. Questo sforzo è accompagnato da una crescente attenzione all’interoperabilità e alla resilienza delle infrastrutture critiche. Craxi ha posto l’accento sulla necessità di un “rapporto strategico di sinergie” tra pubblico e privato, poiché le aziende possiedono competenze e tecnologie fondamentali per garantire la sicurezza dei cittadini.
Nuove prospettive sulla sicurezza integrata
Marco Mignucci, amministratore delegato di Italpol Vigilanza e vicepresidente di Assiv, ha condiviso una visione innovativa riguardo alla sicurezza. Ha affermato che la protezione non può più limitarsi alla dimensione fisica, ma deve integrare anche il mondo digitale. Italpol ha sviluppato un sistema di monitoraggio continuo chiamato “Siam”, gestito da operatori certificati, che rappresenta un primo passo verso un centro in grado di intervenire attivamente contro le minacce. Mignucci ha suggerito che l’uso di guardie giurate in presidi statici potrebbe liberare risorse delle forze armate e di polizia, permettendo loro di concentrarsi su addestramento e missioni più complesse. Tuttavia, ha sottolineato l’importanza di alzare gli standard formativi per garantire una cooperazione efficace tra le diverse forze coinvolte.
La storia dell’impiego militare in compiti di polizia
Matteo Mazziotti di Celso, ricercatore presso l’Università di Genova, ha approfondito la lunga storia dell’impiego dei militari in funzioni di polizia, evidenziando che tale pratica non è una novità degli ultimi anni. Le origini risalgono al dopo guerra, quando l’esercito sostenne le forze di polizia in un’Italia in fase di ricostruzione. Mazziotti ha osservato che, attualmente, l’uso massiccio di militari per compiti di polizia è un fenomeno quasi esclusivamente italiano, mentre in altri paesi europei come Francia, Belgio e Regno Unito, tali esperienze sono state limitate e temporanee. Ha avvertito che, nonostante la necessità di prepararsi a potenziali conflitti convenzionali, l’impiego di militari in operazioni di polizia potrebbe sottrarre tempo all’addestramento.
Verso una sicurezza di sistema
Le conclusioni emerse dal dibattito richiamano l’urgenza di un salto di qualità nella gestione della sicurezza. È necessario definire una cabina di regia nazionale che coordini in modo efficiente l’impiego di militari, forze di polizia e vigilanza privata. Inoltre, si sottolinea l’importanza di stabilire standard formativi comuni e certificazioni riconosciute, oltre a integrare le dimensioni fisica e cyber della sicurezza. L’obiettivo è accompagnare la difesa europea con una filiera industriale-tecnologica capace di garantire continuità nei servizi essenziali. Questo approccio richiede un impegno collettivo da parte di istituzioni, imprese e comunità locali, per creare un sistema di sicurezza coeso e reattivo alle sfide contemporanee.