Incidente mortale a Milano: una donna investita e famiglie con minori abbandonano il campo rom

Marianna Ritini

Agosto 13, 2025

Non si tratta di una fuga, ma di una scelta dettata dalla volontà di allontanarsi dal clamore mediatico. Le famiglie dei quattro ragazzi coinvolti nell’incidente che ha portato alla morte della pensionata 71enne Cecilia De Acutis, avvenuto lunedì 17 marzo 2025 a Milano, hanno lasciato il campo rom di via Selvanesco.

Le famiglie si allontanano dal campo rom

Le tre famiglie dei giovani che si trovavano sull’auto rubata, responsabile dell’investimento mortale della signora De Acutis, hanno deciso di allontanarsi dal campo rom in via Selvanesco, a Milano. Questo gesto non deve essere interpretato come una fuga da provvedimenti giudiziari, poiché non esistono atti ufficiali che richiedano la loro presenza o vigilanza da parte delle forze dell’ordine. L’allontanamento potrebbe essere una strategia per sfuggire all’attenzione dei media e alle conseguenze emotive di una vicenda che ha scosso profondamente la comunità. La tragica morte di Cecilia ha suscitato indignazione e tristezza, portando a riflessioni sulla sicurezza stradale e sull’educazione dei giovani, in particolare quelli che vivono in situazioni di difficoltà.

La testimonianza di Stefania Livoli

Stefania Livoli, una donna di 58 anni originaria di Roma, ha condiviso la sua drammatica esperienza, avvenuta nel 1988, quando fu investita da un’auto rubata guidata da due ragazzi minorenni. La sua testimonianza, rilasciata all’AdnKronos, ha riacceso in lei ricordi dolorosi. “La dinamica dell’incidente è stata identica”, ha raccontato. “Io sono sopravvissuta, mentre Cecilia non c’è più”. Stefania, oggi professionista dell’informazione, ha rievocato il giorno in cui fu colpita, un sabato mattina del 22 ottobre 1988, mentre si trovava in una pasticceria a Roma. Ricorda di essere entrata per ordinare una torta e di aver parcheggiato in seconda fila. Quando uscì, fu travolta da due ragazzi che fuggivano a bordo di un’auto rubata, lasciandola gravemente ferita.

La donna ha descritto la violenza dell’impatto, raccontando di come, dopo l’incidente, si risvegliò in ospedale con ferite gravissime. “I medici dissero che il fatto di non aver visto l’auto in arrivo mi aveva salvato”, ha spiegato. Durante la fuga, i due ragazzi investirono anche un’altra donna anziana, che rimase gravemente ferita. A differenza di Stefania, che decise di denunciare, l’altra vittima non si sentì di farlo per paura. La sua esperienza in tribunale fu deludente, con il giudice che le consigliò di non procedere per non compromettere il futuro dei ragazzi coinvolti. “La giustizia non è stata fatta”, ha commentato, esprimendo la sua frustrazione per il sistema legale.

Le riflessioni di Stefania sulla giustizia

Stefania ha condiviso la sua opinione riguardo alla necessità di responsabilità e educazione. “Non è colpa dei ragazzi se sono cresciuti in un campo nomadi“, ha affermato, “ma qualcuno deve prendersi cura di loro e educarli”. La sua esperienza l’ha portata a riflettere sull’importanza di garantire un’istruzione adeguata a tutti i bambini, indipendentemente dalla loro provenienza. “Il sistema deve garantire che questi ragazzi vadano a scuola“, ha sottolineato, evidenziando come l’educazione inizi a casa e come le regole siano fondamentali per crescere individui consapevoli e responsabili.

Quando le è stato chiesto cosa direbbe ai figli di Cecilia, Stefania ha espresso profonda empatia. “Non è una disgrazia, è un omicidio“, ha affermato con fermezza. “Nessuno restituirà loro la madre. È una realtà con cui dovranno convivere”. Ha sottolineato come le parole della madre di uno dei ragazzi coinvolti l’abbiano colpita, evidenziando l’importanza di un gesto di responsabilità e ammissione di colpa per aiutare chi soffre. Stefania ha concluso la sua testimonianza richiamando l’attenzione sulla necessità di affrontare la questione con serietà e responsabilità, affinché simili tragedie non si ripetano in futuro.

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