Un importante passo avanti nella cura del diabete di tipo 1 si è verificato il 7 agosto 2025, quando un paziente che vive con questa malattia da oltre trent’anni ha ricevuto un trapianto di isole pancreatiche allogeniche senza necessità di farmaci immunosoppressivi. Questo trapianto, effettuato presso il centro clinico dell’Università di Uppsala in Svezia, ha visto le cellule impiantate nel muscolo dell’avambraccio iniziare a produrre insulina, mostrando una limitata ma significativa attività funzionale.
Il trapianto innovativo e le sue implicazioni
Il caso rappresenta una prova di principio riguardo il concetto di “immunoescape” cellulare nell’uomo, come riportato in un articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine da un team di ricercatori svedesi. Le cellule pancreatiche utilizzate nel trapianto fanno parte di una nuova terapia sperimentale denominata UP421, che consiste in cellule ottenute da un donatore e modificate geneticamente per eludere il sistema immunitario del ricevente. Questo approccio innovativo è frutto di anni di ricerca preclinica, condotta principalmente dalla professoressa Sonia Schrepfer, che ha già dimostrato in studi su modelli animali la capacità di queste cellule di sopravvivere senza essere rigettate.
Per ottenere questo risultato, i ricercatori hanno rimosso due segnali chiave dalle cellule, Hla di classe I e II, che normalmente permettono al sistema immunitario di identificare le cellule estranee. Contestualmente, è stata introdotta una proteina protettiva chiamata CD47, che funge da “segnale di non attaccare” per le cellule del sistema immunitario innato. La modifica delle cellule è avvenuta nel laboratorio Gmp di Oslo, in Norvegia, sotto la supervisione della ricercatrice Hanne Scholz, utilizzando una piattaforma tecnologica sviluppata dall’azienda Sana Biotechnology.
Risultati e prospettive future
L’intervento è stato coordinato dal professor Per-Ola Carlsson, che dirige lo studio clinico. Lorenzo Piemonti, direttore del Diabetes Research Institute di Milano, ha commentato che questo studio rappresenta un passo significativo verso una nuova generazione di terapie cellulari per il diabete. Sebbene le evidenze mostrino che le cellule pancreatiche geneticamente modificate possono sopravvivere nell’uomo senza farmaci immunosoppressivi, è fondamentale notare che si tratta di una prova di principio e non di una terapia consolidata. La quantità di cellule trapiantate era infatti molto ridotta, e i livelli di insulina prodotti sono stati minimi.
Dopo 12 settimane dal trapianto, è stata osservata una secrezione endogena minima di C-peptide, segno di una funzionalità delle cellule impiantate. Tuttavia, non sono stati riscontrati benefici clinici diretti attribuibili al trapianto. È emersa una riduzione del 42% dell’emoglobina glicata, ma il fabbisogno insulinico è aumentato dell’80%, suggerendo che i miglioramenti nel controllo glicemico siano da attribuire a un’intensificazione della gestione terapeutica piuttosto che all’efficacia del trapianto stesso.
Il futuro della terapia cellulare per il diabete
Il trapianto è stato effettuato nel muscolo dell’avambraccio per motivi tecnici, consentendo un monitoraggio preciso. Raffaella Buzzetti, presidente della Società Italiana di Diabetologia, ha sottolineato che ridurre o eliminare l’uso di farmaci immunosoppressivi è uno degli obiettivi principali nel campo del trapianto cellulare. Se questo approccio si consoliderà , potrebbe rendere il trapianto di isole o cellule pancreatiche accessibile a un numero significativamente maggiore di pazienti, migliorando la sicurezza e la qualità della vita.
Tuttavia, i ricercatori avvertono che sono necessari ulteriori studi su un campione più ampio di pazienti e con follow-up prolungati per valutare l’efficacia e la stabilità della terapia nel tempo. La vera sfida sarà quindi quella di trasferire questo approccio a cellule derivate da staminali, superando la dipendenza da donatori e rendendo la terapia riproducibile e accessibile a una vasta popolazione di pazienti.
