La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sollevato un acceso dibattito riguardo alla classificazione dei Paesi sicuri per i migranti. Palazzo Chigi ha espresso preoccupazione per il fatto che la decisione della Corte possa influenzare negativamente le politiche migratorie italiane. Secondo la nota ufficiale, l’interpretazione della Corte riguardo alla competenza dei giudici nazionali potrebbe minare l’autonomia decisionale dei governi e dei parlamenti europei.
La posizione di Palazzo Chigi sulla sentenza
In una nota ufficiale datata 15 febbraio 2025, Palazzo Chigi ha manifestato sorpresa per la decisione della Corte di Giustizia Ue, che ha stabilito che i giudici nazionali hanno la prerogativa di decidere la qualificazione di un Paese come “sicuro”. Questo aspetto, secondo il governo italiano, potrebbe compromettere le responsabilità politiche in materia di immigrazione. La nota sottolinea come tale decisione possa ridurre ulteriormente i margini di manovra per i governi nell’affrontare il fenomeno migratorio, specialmente in un contesto in cui l’Italia sta cercando di gestire flussi migratori sempre più complessi.
Palazzo Chigi ha anche evidenziato che la sentenza potrebbe indebolire le politiche di contrasto all’immigrazione illegale e alla difesa dei confini nazionali. Questo avviene in un momento in cui si sta preparando l’entrata in vigore del Patto Ue su immigrazione e asilo, previsto per il 12 giugno 2026. Il governo italiano ha assicurato che, nei dieci mesi che precedono l’implementazione del nuovo patto, continuerà a cercare soluzioni normative e tecniche per garantire la sicurezza dei cittadini.
Dettagli sulla sentenza della Corte di Giustizia
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha esaminato il caso di due cittadini del Bangladesh, trasferiti in un Centro di Permanenza per i Rimpatri (Cpt) in Albania, dopo essere stati soccorsi in mare. Questi migranti avevano presentato una domanda di protezione internazionale, la quale è stata respinta in quanto il Bangladesh era considerato un Paese sicuro. La controversia è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Roma, che ha richiesto chiarimenti sulla definizione di “Paese di origine sicuro” e sugli obblighi degli Stati membri riguardo al controllo giurisdizionale.
La Corte ha stabilito che, contrariamente alle normative precedenti, la legislazione italiana non specifica le fonti di informazione utilizzate per determinare la sicurezza del Bangladesh. Di conseguenza, i richiedenti asilo e le autorità giudiziarie sono stati privati della possibilità di contestare la presunzione di sicurezza. La Corte ha ribadito che il diritto dell’Unione consente a uno Stato membro di designare un Paese terzo come “sicuro”, purché questa designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo.
Inoltre, è stata sottolineata l’importanza di garantire che le fonti di informazione siano accessibili e affidabili, affinché i richiedenti possano difendere i propri diritti e i giudici nazionali possano esercitare pienamente le proprie funzioni.
La reazione dell’Associazione Nazionale Magistrati
Cesare Parodi, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), ha commentato la sentenza della Corte di Giustizia, affermando che i giudici italiani non stavano remando contro il governo, ma stavano semplicemente seguendo un’interpretazione corretta della normativa. Parodi ha sottolineato l’importanza di chiarire la situazione senza alimentare polemiche, evidenziando che la Corte ha confermato l’interpretazione dei giudici italiani.
Questa posizione dell’Anm riflette una crescente tensione tra le autorità politiche e quelle giudiziarie, in un contesto in cui le decisioni giuridiche possono avere un impatto significativo sulle politiche migratorie e sui diritti dei migranti. La questione della designazione dei Paesi sicuri rimane dunque centrale nel dibattito pubblico e politico, con implicazioni dirette per la gestione dei flussi migratori in Europa.
