Lo stallo nella sintesi delle proteine cerebrali rappresenta un fattore chiave nell’invecchiamento del cervello, secondo uno studio condotto da un team internazionale. Questa ricerca, pubblicata il 31 luglio 2025 sulla rivista scientifica Science, coinvolge istituzioni prestigiose come la Scuola Normale di Pisa, l’Istituto Leibniz di Jena e la Stanford University, con la collaborazione della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e dell’Università di Trieste.
La scoperta del fenomeno di stallo
I ricercatori hanno esaminato il processo di invecchiamento cerebrale del Nothobranchius furzeri, noto come Killifish turchese, un piccolo pesce annuale dell’Africa orientale. Questo pesce è stato scelto come modello per lo studio dell’invecchiamento grazie alla sua breve durata di vita in cattività , che non supera l’anno. L’idea di utilizzare questo organismo come soggetto di ricerca è stata proposta dal professor Alessandro Cellerino della Scuola Normale di Pisa oltre venti anni fa.
La brevità della vita del Killifish, unita alla somiglianza della sua struttura cerebrale con quella di altri vertebrati, permette di condurre studi sull’invecchiamento in tempi e costi notevolmente ridotti. I risultati hanno rivelato un fenomeno di stallo nella sintesi delle proteine cerebrali negli esemplari anziani di Killifish. Il professor Cellerino ha spiegato che la sintesi proteica, che avviene in ogni cellula grazie ai ribosomi, viene compromessa con l’età . I ribosomi, infatti, non riescono più a muoversi liberamente lungo l’RNA, bloccandosi in posizioni specifiche e producendo proteine incomplete.
Implicazioni per l’invecchiamento umano
Le proteine che non vengono tradotte correttamente presentano una bassa solubilità e tendono a precipitare all’interno delle cellule. Cellerino ha sottolineato che non tutti gli RNA sono influenzati allo stesso modo da questo stallo, evidenziando che le proteine maggiormente colpite sono quelle che formano i ribosomi e quelle che interagiscono con il DNA e l’RNA. Questo porta a un circolo vizioso che compromette ulteriormente i meccanismi di riparazione del DNA e la sintesi di RNA e proteine.
Questa scoperta non è esclusiva del Killifish; infatti, un gruppo di ricercatori della Università di San Diego in California ha osservato una riduzione delle proteine che legano l’RNA nel cervello umano durante l’invecchiamento. Cellerino ha affermato che ora esiste un’ipotesi chiara su quale meccanismo possa innescare la perdita delle funzioni cognitive.
Prospettive future della ricerca
Il passo successivo per il team di ricerca sarà testare se il trattamento con sostanze in grado di ridurre lo stallo dei ribosomi possa rallentare il decadimento cognitivo nel Killifish. Se questo approccio dovesse rivelarsi efficace, potrebbero aprirsi nuove strade per sviluppare interventi in medicina umana, grazie alla conservazione di questo fenomeno tra Killifish e esseri umani. La ricerca sul Killifish presso la Scuola Normale è in parte finanziata da fondi del Pnrr attraverso il progetto THE ‘Tuscany Health Ecosystem. Inoltre, l’assegnista Sara Bagnoli, che ha contribuito a questi studi, ha recentemente ricevuto il premio L’Oreal – Unesco donne nella scienza per il suo lavoro innovativo.
